Il lavoro agile (o smart working) viene definito come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato” per cui la prestazione lavorativa si svolge, in relazione alla specificità delle mansioni svolte, “per fasi, cicli e obiettivi, senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro”. Pertanto, la caratteristica propria della prestazione lavorativa in modalità agile, differentemente dallo svolgimento dell’attività lavorativa presso la sede del datore di lavoro, è la flessibilità che, fatta salva l’eventuale operatività di fasce di reperibilità, attiene sia al luogo sia al tempo del relativo svolgimento, così come previsto dagli artt. dal 18 a 23 della l. 22 maggio 2017, n. 81.
L’utilizzo dello smart working è strettamente connesso al delicato tema del trattamento dei dati personali dei lavoratori.
Il Garante della Privacy con il provvedimento n. 135/2025 si è occupato della questione, andando a definire un importante limite nell’utilizzo dei dati personali e nel controllo a distanza dei lavoratori in smart working.
Nel caso di specie il Garante ha ritenuto sanzionabile la condotta di un ente che si è avvalso di una applicazione per accedere alla posizione geografica dei dipendenti nelle giornate di lavoro agile. Ai dipendenti che svolgevano la prestazione in modalità agile veniva richiesto, a campione, di attivare il sistema di geolocalizzazione sull’applicazione e con ulteriore richiesta di inviare al responsabile in azienda una e-mail con indicato il luogo in cui si trovava in quel preciso momento. Nel caso in cui il datore di lavoro avesse riscontrato delle incongruenze, avrebbe potuto adottare una sanzione disciplinare.
A seguito del reclamo di una dipendente, il Garante ha stabilito quanto segue: il datore di lavoro che utilizza il sistema di geolocalizzazione per identificare la posizione dei dipendenti che svolgono lavoro agile si espone alla violazione dell’articolo 4 della legge n. 300/1970, perché anche nei giorni di smart working l’impiego di strumenti elettronici dai quali possa derivare il controllo a distanza dell’attività lavorativa deve perseguire una specifica finalità (tutela del patrimonio aziendale, ragioni di sicurezza, etc.).
A parere del Garante l’esigenza di geolocalizzare i lavoratori durante la fascia di reperibilità, consentendo in tal modo di verificare che il luogo di svolgimento della prestazione da remoto coincida con una delle sedi previste nell’accordo individuale di smart working, esula da queste finalità e costituisce quindi un controllo vietato.
Il provvedimento pone una serie di riflessioni fondamentali in tema di controllo a distanza dei lavoratori e delle lavoratrici, perché come nel caso di specie, l’utilizzo di un’applicazione per il monitoraggio della posizione è totalmente sprovvista di idonea base giuridica e pertanto si pone in contrasto con i principi di liceità, correttezza e trasparenza alla base del regolamento UE 2016/679. Irrilevante sarebbe anche ogni qualsivoglia accordo con le rappresentanze sindacali, vista l’evidente contrarietà al principio della limitazione e della finalità.
Nel provvedimento si legge infatti che il lavoro agile presenta margini di libertà nello sviluppo della vita privata superiori rispetto al tradizionale svolgimento della prestazione lavorativa in presenza e in quest’ottica l’utilizzo della geolocalizzazione per verificare la posizione dei dipendenti può comportare “una disparità di trattamento a svantaggio dei soli dipendenti che fruiscono del lavoro agile”. Anche nel caso in cui il lavoro sia svolto in modalità agile, “il datore di lavoro è tenuto a garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale”.