Con la recente Ordinanza del 12/02/2025 n. 3627, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ritorna a pronunciarsi sul tema dei limiti del diritto del dipendente di critica del proprio datore, nella ricerca di un non semplice equilibrio tra la garanzia della libertà di espressione da una parte e, dall’altra, la tutela della reputazione e della rispettabilità del destinatario della critica.
Nel caso di specie, un lavoratore aveva trasmesso via mail al proprio superiore gerarchico una lettera contenente dure accuse rivolte nei confronti di quest’ultimo: in particolare, il prestatore si riteneva vittima di numerose vessazioni, quali la sostanziale esclusione dall’attività lavorativa e ulteriori atti mobbizzanti. Il datore, nell’ambito di un procedimento disciplinare avviato a carico del dipendente, aveva valutato il contenuto della sua missiva come eccessivamente offensivo, e aveva ritenuto la condotta aggravata dall’aver messo in copia conoscenza numerosi colleghi, arrivando infine al licenziamento per giusta causa del lavoratore.
Sottoposta la questione alla Corte di Appello, in sede di gravame il licenziamento era stato ritenuto illegittimo limitatamente al profilo della proporzionalità tra condotta e sanzione, con applicazione della sola tutela indennitaria ex art. 18 c. 5° Stat. Lav.
La Corte di Cassazione, nell’esaminare la vicenda, ha in primo luogo richiamato il fondamento costituzionale – ex art. 21 Cost. – della libertà d’espressione, così come ribadito dall’art. 10 CEDU e, nell’ambito lavoristico, dall’art. 1 della L. 300/70. Venendo poi al cuore della tematica sottopostale, la Corte ha richiamato in toto gli arresti giurisprudenziali in tema di libertà di espressione dei dipendenti. Volendoli qui riassumere brevemente, affinché una critica possa ritenersi legittima e, quindi, non lesiva della tutela della reputazione altrui, l’autore deve rispettare il principio di continenza sia sotto il profilo formale sia sotto quello sostanziale: per quel che attiene al primo, è richiesto che il lavoratore non travalichi il limite della correttezza e misura del linguaggio adoperato; sotto il profilo della continenza “sostanziale”, è necessario che i fatti riportati siano veritieri (da intendersi qui in senso non assoluto, bensì soggettivo e dunque legato alla percezione che l’autore ha dei fatti) e, contemporaneamente, che venga rispettato il principio di pertinenza, inteso come rispondenza della critica ad un interesse meritevole di tutela in confronto con il bene suscettibile di lesione.
Fatto questo inquadramento, la Corte di Cassazione, nel cassare con rinvio la sentenza impugnata, ritenendo la vicenda meritevole di una nuova ed ulteriore valutazione da parte della corte territoriale, ha avuto modo di svolgere alcune precisazioni circa i principi che regolano la materia. Per quel che attiene il presupposto della continenza c.d. formale, è stato negato che una singola frase o espressione possa essere considerata offensiva se non contestualizzata all’interno dell’articolata critica del lavoratore espressa nell’ambito della propria lettera. Per quel che attiene, invece, il profilo della continenza sostanziale, e, segnatamente, quello della pertinenza, la Corte ha ribadito che “nell’ambito del rapporto di lavoro il limite di pertinenza si misura sulla rispondenza della critica ad un interesse meritevole di tutela in confronto con il bene suscettibile di lesione (v. Cass. n. 1379 del 2019; n. 1173 del 1986). Il modo in cui la critica è veicolata può certamente avere rilievo nel giudizio di pertinenza, ma questo deve muoversi non secondo il punto di vista dell’interesse pubblico o collettivo a conoscere la notizia o l’accusa, bensì seguendo il focus della inerenza di quelle modalità all’interesse meritevole di tutela e, nella specie, alle problematiche lavorative esposte”.