L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori è stato riformato dal Jobs Act (art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015, in vigore dal 24 settembre 2015), introducendo significative modifiche rispetto alla possibilità del datore di lavoro di operare un controllo a distanza sull’attività lavorativa svolta dai propri dipendenti.
Prima della riforma vigeva un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Attualmente, non è più previsto un esplicito divieto e al datore di lavoro è concessa l’installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti che consentono un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, previa l’insorgenza di esigenze organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro e in ogni caso in accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, l’autorizzazione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro o in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate in diversi territori, della sede centrale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. I datori di lavoro possono, poi, servirsi del c.d. controllo a distanza diretto attraverso strumenti quali cellulari, computer o tablet assegnati ai lavoratori per svolgere le proprie mansioni, nonché gli strumenti di rilevazione degli accessi e delle presenze (c.d. lettori badge). In questo caso il controllo è libero e non sono richieste esigenze particolari.
Com’è noto l’utilizzo sempre più frequente di questi strumenti genera spesso un controllo pervasivo sull’operato dei lavoratori, con limiti molto labili. Il datore di lavoro può, infatti, utilizzare i dati raccolti attraverso il controllo a distanza per qualsiasi fine connesso al rapporto di lavoro, anche al fine di comminare sanzioni disciplinari, a condizione che i lavoratori siano adeguatamente informati e che sia rispettata la normativa vigente in materia di privacy (D.Lgs. n. 196/2003).
Proprio in tema di licenziamenti basati su controlli a distanza, la Cassazione ha recentemente stabilito un importante principio (ordinanza del 13 gennaio 2025, n. 807).
Il caso in esame riguarda il licenziamento di un dirigente al quale erano state contestate condotte illecite che il datore di lavoro aveva scoperto a seguito di un accesso alla casella di posta elettronica del lavoratore conseguente a un alert del sistema informatico aziendale.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso del datore di lavoro avverso la sentenza della Corte d’Appello che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, sancisce che: l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori legittima l’utilizzo dei dati raccolti unicamente con controlli tecnologici ex post, e quindi effettuati su comportamenti posti in essere successivamente all’insorgenza di un fondato sospetto. […] Tale assetto garantisce il punto di equilibrio tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali e la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore, equilibrio che verrebbe meno ove si consentisse al datore di lavoro, alla luce di un fondato sospetto, di estendere il controllo difensivo, anche precedente, a tutti i dati che, fino a quel momento, sono stati raccolti e conservati nel sistema informatico.
Pertanto, alla luce di questa pronuncia, il datore di lavoro potrà utilizzare solo le informazioni raccolte dopo l’eventuale sospetto della commissione di un illecito da parte del datore di lavoro e sarà preclusa ogni possibilità di ricercare nel passato lavorativo elementi di prova a sostegno del fondato sospetto e utilizzarli a fini sanzionatori.