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Approfondimenti

Negare al lavoratore disabile i ragionevoli accomodamenti, quali lo smart working, costituisce discriminazione diretta

Con la recente sentenza n. 605 del 10 gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito gli obblighi del datore di lavoro in tema di adeguamento dell’ambiente lavorativo alle esigenze delle persone con disabilità.

La materia è regolata dalla Direttiva 2000/78/CE per la Parità di Trattamento in Materia di Occupazione e Condizioni di Lavoro (recepita a mezzo del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216) con l’obiettivo di stabilire un quadro normativo generale per la lotta alle discriminazioni per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento. In particolare, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, la predetta Direttiva impone al datore di adottare i provvedimenti appropriati per assicurare ai disabili l’accesso al lavoro, la possibilità di effettivo svolgimento dello stesso, nonché il diritto ad un’adeguata formazione, con l’unico limite della sostenibilità economica di tali misure. Inoltre, lo Stato italiano ha ratificato, in data 15 marzo 2009, la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, sottoscritta a New York il 13 dicembre 2006, la quale sancisce importanti principi giuridici, tra cui l’obbligo incombente sul datore, tanto pubblico che privato, di adottare ragionevoli accomodamenti, ossia quelle misure necessarie, pertinenti, appropriate e adeguate, tali da permettere alle persone con disabilità il godimento e l’effettivo e tempestivo esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.

Nel caso di specie, un dipendente affetto da grave deficit visivo, addetto all’assistenza tecnica nel settore del customer care, aveva richiesto di svolgere la propria mansione in modalità da remoto, anziché presso la sede aziendale. Il datore di lavoro aveva rigettato tale richiesta, argomentando che l’accordo interno sullo smart working ex artt. 18 e ss. L. 81/2018 non comprendeva le mansioni a cui il lavoratore era adibito.

A fronte di tale diniego, il lavoratore ha adito l’Autorità Giudiziaria, lamentando la violazione dell’art. 3, comma 3-bis del D.Lgs. 216/2003, che impone al datore di adottare accomodamenti ragionevoli al fine di garantire il rispetto del principio di parità di trattamento.

Sottoposta la questione alla Corte di Cassazione, gli Ermellini, accogliendo le doglianze del lavoratore, hanno ribadito alcuni principi di diritto fondamentali.

In primo luogo, sebbene gli accomodamenti ragionevoli possano essere individuati in sede negoziale, in mancanza di accordo il lavoratore ha piena facoltà di rivolgersi al Tribunale per ottenere una pronuncia che individui una soluzione concreta, con conseguente condanna del datore di lavoro all’adozione delle misure richieste. Inoltre, la Cassazione, nel sottolineare il diritto del prestatore a partecipare al processo finalizzato alla loro valutazione, ha individuato nel diniego opposto dal datore una discriminazione diretta nei confronti del lavoratore disabile.